IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 189/90  r.g.r.
 proposto  dal  comune  di  Genova,  in persona del sindaco in carica,
 elettivamente domiciliato in Genova, via Garibaldi, 9, presso  l'avv.
 Graziella De Nitto che lo rappresenta e difende per mandato a margine
 del  ricorso,  ricorrente,  contro la provincia di Genova, in persona
 del presidente della  giunta  provinciale  in  carica,  elettivamente
 domiciliata  in  Genova,  piazza  Corvetto,  2/8,  presso  l'avvocato
 Corrado  Mauceri  che la rappresenta e difende per mandato in calce a
 copia notificata del  ricorso,  resistente,  e  nei  confronti  della
 regione  Liguria,  in  persona  del presidente in carica della giunta
 regionale, elettivamente domiciliata  in  Genova,  via  Fieschi,  15,
 presso  l'avv.  Gigliola  Benghi  che  la  rappresenta  e difende per
 mandato  in  atti,  controinteressata,   per   l'annullamento   della
 deliberazione  n.  3900  della giunta provinciale in data 29 novembre
 1989 con cui  l'amministrazione  provinciale,  ritenuta  l'abusivita'
 degli  scarichi  delle pubbliche fognature in atto, diffida il comune
 di  Genova  a  proporre  istanza  di  autorizzazione  per  i  singoli
 scarichi,   fermo  restando  medio  tempore  l'obbligo  di  astenersi
 dall'effettuare scarichi non autorizzati;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della provincia di Genova
 e della regione Liguria;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 16 aprile 1992 la relazione del
 consigliere M. Franco e uditi, altresi' l'avv. G.  De  Nitto  per  il
 ricorrente  e  l'avv.  C.  Mauceri  per l'amministrazione provinciale
 nonche' l'avvocato G. Benghi per la regione Liguria;
    Ritenuto e considerato quanto segue;
                         ESPOSIZIONE DEL FATTO
    Con ricorso notificato il 31 gennaio 1990,  il  comune  di  Genova
 impugnava,  chiedendone  l'annullamento,  la  deliberazione  n.  3900
 assunta dalla giunta provinciale di Genova in data 29 novembre 1989 e
 comunicata il 15 dicembre 1989 con cui  la  medesima  amministrazione
 provinciale,  ritenuta  l'abusivita'  degli  scarichi delle pubbliche
 fognature  in  atto,  diffidava  il  comune  a  proporre  istanza  di
 autorizzazione  per  i singoli scarichi, fermo restando medio tempore
 l'obbligo di astenersi dall'effettuare scarichi non autorizzati.
    Il ricorrente comune premetteva:
       a) che da molto tempo ed ancor  prima  dell'entrata  in  vigore
 della  legge  10  maggio 1976, n. 319, erano state avviate iniziative
 per  il  risanamento  delle  acque  e  che,   in   particolare,   con
 deliberazione  del consiglio comunale n. 1237 del 1› luglio 1980, era
 stato predisposto il programma di adeguamento della rete fognaria  in
 ottemperanza  al  disposto  di  cui all'art. 14 della legge 10 maggio
 1976, n. 319, programma  attuato  per  circa  due  terzi  della  rete
 fognaria  prevista  nonche'  mediante  la  realizzazione  di  due dei
 quattro depuratori previsti, oltre al raddoppio del depuratore  della
 Valpolcevera,  con un impegno finanziario annuale compreso fra gli 11
 e i 40 miliardi;
       b) che la regione Liguria aveva emanato la legge  1›  settembre
 1982,  n. 38, formulante la disciplina degli scarichi delle pubbliche
 fognature, nell'esercizio delle proprie competenze secondo  l'assetto
 previsto dall'art. 101 del d.P.R. n. 616/1977, prevedendo all'art. 23
 l'adeguamento  alle  disposizioni  di  legge  sulla  base di appositi
 programmi da attuarsi previa autorizzazione dell'autorita' competente
 al controllo individuata, ai sensi dell'art. 6 della legge regionale,
 nell'amministrazione provinciale per  gli  scarichi  delle  pubbliche
 fognature  con  recapito in corsi d'acqua superficiali, nell'acqua di
 transizione e nel mare territoriale.
    In  ottemperanza alla predetta disposizione, il comune trasmetteva
 alla provincia nel marzo 1983 un programmma di massima di adeguamento
 degli scarichi fognari seguito, nell'aprile  1987,  da  un  programma
 dettagliato  completo  di  tutti  gli  elementi  ritenuti utili dalla
 provincia.
    In pendenza dell'iter procedimentale del programma di  cui  sopra,
 la  provincia  assumeva  l'impugnata  deliberazione con cui, ritenuta
 l'abusivita' degli scarichi preesistenti delle  pubbliche  fognature,
 diffidava,  come  si  e'  detto,  il  comune  a  proporre  istanza di
 autorizzazione per i singoli scarichi  ai  sensi  dell'art.  4  della
 legge  regionale  n.  38/1982  nonche' ad astenersi medio tempore dal
 mantenere gli stessi in esercizio.
    Tanto premesso il comune denunciava:
      1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 8 e  14  della
 legge n. 319/1976, nonche' dei principi generali in materia di tutela
 delle acque dall'inquinamento.
    Il sistema delineato dalla legge Merli, che annovera i comuni, e i
 loro  consorzi,  tra i soggetti pubblici coinvolti nel recupero della
 situazione ambientale oltre che nella verifica  delle  condizioni  di
 ammissibilita'  degli  scarichi, imporrebbe ex se una distinzione tra
 gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi e quelli di  tipo
 civile  (o  assimilati),  per  questi  ultimi  dovendosi affrontare i
 problemi  attinenti  all'organizzazione  di   pubblici   servizi   di
 acquedotto, fognature e depurazione.
    Ne  conseguirebbe  che  il  comune  non potrebbe configurarsi come
 produttore di uno scarico, bensi' titolare di un  pubblico  servizio,
 con cio' dovendosi ritenere la sua posizione diversificata rispetto a
 quella  di  qualsiasi  soggetto che immette nell'ambiente uno scarico
 idrico, considerando altresi' che la pubblica fognatura  non  sarebbe
 definita  dall'art.  1  della  legge Merli quale "scarico", ma semmai
 quale "corpo ricettore".
    Tutti il  sistema  della  legge  Merli  concorrerebbe  a  siffatta
 impostazione  che  esimerebbe  il  comune, quale soggetto esso stesso
 deputato alla predisposizione delle strutture previste  dalla  legge,
 dal  rendersi  destinatario  di  diffide del tipo di quella impugnata
 che, in realta', assimilando allo scarico l'esercizio della  pubblica
 fognatura quale pubblico servizio, comporterebbe la diffida al comune
 di proseguire nell'esercizio, appunto, di un servizio imprescindibile
 per il comune medesimo;
      2)  violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  4 della legge
 regione Liguria 1› settembre 1982,  n.  38.  Eccesso  di  potere  per
 difetto nella valutazione dei presupposti.
    La  norma  in riferimento, nel prevedere l'apposita autorizzazione
 tanto per gli scarichi delle pubbliche fognature  quanto  per  quelli
 provenienti da insediamenti civili non aventi recapito nella pubblica
 fognatura,  non  puo',  per i principi generali richiamati, riferirsi
 anche alle fognature preesistenti il cui allineamento  ai  limiti  di
 accettabilita'  puo'  solo  costituire  il  risultato  di progressivi
 interventi, graduati sulla base delle priorita' fissate nel programma
 regionale di risanamento delle acque;
      3) violazione e falsa  applicazione  dell'art.  23  della  legge
 regionale Liguria 1› settembre 1982, n. 38 e successive modifiche, in
 relazione all'art. 14 della legge n. 319/1976.
    Giusta  la previsione dell'art. 14 della legge n. 319/1976, l'art.
 23 della legge regionale n. 38/1982, contempla la predisposizione  di
 programmi   per   l'adeguamento   degli  scarichi  esistenti  la  cui
 attuazione subordina al preventivo accertamento di  conformita'  alle
 previsioni  dello  stesso  piano  regionale  mediante  il rilascio di
 apposita autorizzazione da parte dell'Ente competente al controllo  o
 di imposizione delle prescrizioni di cui alla norma medesima.
    In  tale contesto la previsione di un termine per la realizzazione
 delle opere di competenza comunale non potrebbe che  assumere  natura
 programmatoria,  in pendenza del relativo procedimento amministrativo
 il  cui  perfezionamento  sarebbe  diversamente  impedito  -  secondo
 l'interpretazione  desumibile  dal  testo  del  provvedimento  -  dal
 decorso del termine di cui all'art. 8 della legge Merli;
      4) eccesso di potere per erronea  valutazione  del  presupposti.
 Manifesta illogicita' dell'atto.
    Cio' in quanto l'applicabilita', anche agli scarichi preesistenti,
 del  regime  previsto dall'art. 4 della legge regionale n. 38/1982 in
 forza dello spirare del  termine  prefissato  per  il  raggiungimento
 degli obiettivi del piano regionale, frusterebbe gli stessi scopi del
 programma    presentato    impedendo    la    conclusione   dell'iter
 procedimentale;
      5) eccesso di potere per erronea  valutazione  dei  presupposti.
 Illogicita'  e  contraddittorieta'  sotto diverso profilo. Eccesso di
 potere per sviamento. Ingiustizia grave e manifesta.
    Il provvedimento non tiene in  alcuna  considerazione  l'obiettiva
 diversita'  tra  lo  scarico  della  pubblica fognatura - costituente
 servizio pubblico  -  e  lo  scarico  derivante  da  un  insediamento
 produttore  della  fonte inquinante: il che si rivelerebbe illogico e
 illegittimo;
      6) illegittimita' derivata per violazione e  falsa  applicazione
 dell'art.   117  della  Costituzione.  Illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 23 della legge regionale Liguria n. 38/1982.
    Qualora non dovesse condividersi la tesi interpretativa  sostenuta
 nel  ricorso  secondo  cui l'art. 23 della legge regionale Liguria n.
 38/1982, disciplinando l'iter procedimentale funzionalmente collegato
 al perseguimento graduale degli obiettivi di risanamento delle  acque
 individuati  nel piano regionale, configurerebbe un termine di natura
 meramente programmatoria, la norma non si sottrarrebbe  alla  censura
 di  illegittimita'  costituzionale per violazione dell'art. 117 della
 Costituzione in  quanto  verrebbero  cosi'  disattese  le  competenze
 statuali fatte salve dall'art. 102 del d.P.R. n. 616/1977, nella spe-
 cie  individuabili nei criteri dettati dalla legge Merli prefigurante
 soluzioni diverse per gli scarichi di tipo industriale  e  quelli  di
 tipo  civile,  individuando  per  i  primi  un termine perentorio per
 l'adeguamento e per i secondi un allineamento graduale ai  limiti  di
 legge  nei  confronti  del  quale non puo' che ipotizzarsi un termine
 programmatorio.
    La  provincia  di  Genova,  costituitasi  in  giudizio,   eccepiva
 preliminarmente l'irricevibilita' del ricorso per decadenza in quanto
 il  provvedimento  impugnato  si  limiterebbe  a  trarre  il semplice
 corollario del contenuto di precedente nota 22 marzo 1989.
    Nel merito, la difesa della provincia sosteneva l'infondatezza del
 gravame, rilevando  in  particolare  che  l'apposizione  del  termine
 decennale  per il conseguimento degli obiettivi del P.R.R.A. e' stato
 fissato proprio dal legislatore statale (art. 8, ultimo comma,  della
 legge  n.  319/1976)  mentre  il legislatore regionale avrebbe semmai
 errato nel prorogare di un anno detto termine.
    In ogni caso la situazione di abusivismo degli  scarichi  comunali
 non  sarebbe  che  una  mera  conseguenza  dello  spirare dei termini
 legislativamente previsti, senza nessuna influenza,  sul  punto,  del
 provvedimento impugnato.
    Si   costituiva   altresi'   la  regione  Liguria  contestando  la
 fondatezza delle doglianze proposte  anche  per  quanto  concerne  il
 dedotto profilo di illegittimita' costituzionale.
    All'udienza di discussione le parti insistevano come in atti.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    In    via    preliminare,    deve   respingersi   l'eccezione   di
 irricevibilita' del gravame per intervenuta  decadenza,  fondata  sul
 rilievo    che    l'impugnato    provvedimento    avrebbe   contenuto
 sostanzialmente identico a quello della  nota  assessorile  22  marzo
 1989 non impugnata dal comune.
    Ed   invero   la   nota   in  questione  era  priva  di  contenuto
 provvedimentale in quanto:
       a) si limitava ad annunciare che da parte della  provincia  era
 stata intrapresa una attivita' diretta al controllo degli scarichi in
 esito   alla  quale  sarebbero  stati  adottati  i  provvedimenti  di
 competenza;
       b) nessuna  verifica  era  stata  compiuta  all'epoca,  da  cui
 potesse scaturire un provvedimento repressivo.
    Non era pertanto configurabile alcun interesse concreto ed attuale
 all'impugnativa,  da  parte  del comune, della nota indicata che deve
 ritenersi meramente prodromica all'emmissione del  provvedimento  ora
 impugnato.
    Nel  merito,  va  innanzi  tutto  rilevato che il provvedimento in
 questione presenta un contenuto plurimo, in quanto contiene:
      1) la  presa  d'atto  che  il  programma  di  adeguamento  degli
 scarichi delle pubbliche fognature esistenti nel comune di Genova non
 e'  stato  autorizzato  prima  della  scadenza del regime transitorio
 stabilito dall'art. 23 della legge regionale n. 38/1992 e  successive
 modificazioni;
      2)  diffida al comune a presentare istanza di autorizzazione per
 i singoli scarichi ai sensi dell'art.  4  della  legge  regionale  n.
 38/1982;
      3)  l'affermazione  dell'obbligo  del  comune di astenersi medio
 tempore dall'effettuare  scarichi  non  autorizzati  e  di  adottare,
 comunque, ogni misura necessaria al contenimento dell'inquinamento.
    Da  ultimo  il  provvedimento "raccomanda" al sindaco di adottare,
 nell'ambito della propria competenza specifica, tutti i provvedimenti
 e le misure necessari ed opportuni alla tutela della salute pubblica,
 in  relazione  all'evolversi  della  situazione  degli  scarichi   in
 questione.  Sostanzialmente  il comune si duole della lesivita' della
 diffida formulata dalla provincia, ai sensi dell'art. 4  della  legge
 regionale  n.  38/1982,  a presentare istanza di autorizzazione per i
 singoli scarichi, fermo restando medio tempore l'obbligo di astenersi
 dall'effettuare scarichi non autorizzati.
    Ne conseguirebbe, in caso di inosservanza  del  predetto  obbligo,
 l'applicazione delle sanzioni previste dalla medesima legge regionale
 nonche' dalla legge n. 319/1976.
    La  legge  regionale  della cui applicazione si tratta costituisce
 attuazione della citata legge n. 319/1976 il cui art.  4  attribuisce
 alle  regioni  la  competenza  in  ordine  alla  redazione  dei piani
 regionali  di  risanamento  delle  acque  definendone   all'art.   8,
 l'articolazione nelle sue linee essenziali.
    Lo  stesso  art.  8 della legge n. 319/1986 fissa in dieci anni il
 termine ultimo per il conseguimento degli obiettivi del piano.
    Nel  caso  specifico  della  regione  Liguria  gli  obiettivi   in
 questione non risultano pienamente attuati e, come e' pacifico fra le
 parti,  gli  stessi  programmi  di adeguamento degli scarichi fognari
 presentati  dal  comune  di  trovavano,  alla  scadenza  del  cennato
 termine, in pendenza dell'iter procedimentale previsto dalla legge.
    Trova  dunque  applicazione  nel  caso  di  specie,  la disciplina
 transitoria concernente gli scarichi preesistenti, dettata  dall'art.
 23  della  legge  regionale  piu'  volte  richiamata, norma su cui si
 appuntano  le  censure  del  ricorrente  comune,  sia  nel  senso  di
 denunciarne  la  violazione, da parte dell'ente intimato, cui compete
 la  vigilanza  sull'applicazione  della  normativa  in  parola,  sia,
 alternativamente,  nel  prospettarne  il  contrasto  con la normativa
 statale di cui alla richiamata legge n. 319/1976.
    Per gli insediamenti esistenti, dunque, per quanto  nell'ambito  -
 ma  non necessariamente in totale coincidenza - con il piano generale
 regionale previsto dalla normativa statale,  l'art.  23  della  legge
 regionale  imponeva  la presentazione, entro sei mesi dall'entrata in
 vigore  della  legge  medesima,  l'obbligo  di  presentazione  di  un
 programma  dettagliato  con  l'indicazione della data di inizio e dei
 tempi di  attuazione  per  l'adeguamento  dei  propri  scarichi  alla
 disciplina  di  legge,  stabilendo  per  l'attuazione  dei  programmi
 medesimi il termine del 31  maggio  1986,  successivamente  prorogato
 dalla l.r. n. 30/1986 al 31 maggio 1987.
    Il  mancato  adeguamento nei detti termini farebbe dunque scattare
 l'obbligo di munirsi di nuova autorizzazione  ai  sensi  dell'art.  4
 della  stessa  l.r.  nonche'  di  astenersi  dall'uso di scarichi non
 autorizzati.
    Con il primo motivo  di  gravame  il  comune  di  Genova  denuncia
 violazione  e falsa applicazione degli artt. 1, 8 e 14 della legge n.
 319/1976 la cui previsione configurerebbe un regime  per  cosi'  dire
 differenziato,  collocando  il  comune,  anche  in forza dei principi
 generali in materia di tutela delle acque  dall'inquinamento,  tra  i
 soggetti  attivi  della lotta all'inquinamento idrico, quale titolare
 di un pubblico servizio, eppertanto non destinatario  degli  obblighi
 posti  a  carico  dei  titolari  di  scarichi,  dovendo  la  pubblica
 fognatura definirsi non "scarico" ma semmai "corpo ricettore".
    Del     resto,     l'automatismo     sanzionatorio     conseguente
 all'inosservanza  di determinati obblighi posti a carico dei titolari
 di scarichi non troverebbe ne' locica ne' conseguente rispondenza con
 il  complesso  di  competenze  assegnate  ai  comuni  quali  soggetti
 pubblici  cui  la  legge  demanda  rilevanti funzioni nell'attuazione
 degli interventi di  risanamento  e  la  cui  attivita'  e'  peraltro
 condizionata  da  vincoli  di  disponibilita'  in  ordine  alla spesa
 pubblica connessa ai programmi di risanamento ambientale in  generale
 e, in particolare, ai programmi di adeguamento dei presidi esistenti.
    La  censura non puo', peraltro, essere condivisa in quanto nessuna
 disposizione della  legge  n.  319/1976  (legge  Merli)  consente  di
 fornire supporto normativo alla tesi del comune.
    Al  contrario,  l'art.  1  della  legge  in discorso appare chiaro
 nell'indicare che la  disciplina  in  essa  contenuta  riguarda  "gli
 scarichi  di  qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti
 in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne  e  marine  sia
 pubbliche   che  private,  nonche'  in  fognature  sul  suolo  e  nel
 sottosuolo" (art. 1, lett. a)).
    Ne' altre specifiche norme della legge in  riferimento  consentono
 di  configurare un doppio regime che veda il comune quale titolare di
 "scarico" esentato dagli obblighi posti a carico di  qualsiasi  altro
 soggetto ugualmente titolare di scarico.
    Ne'   all'uopo  soccorre  la  distinzione  tra  scarico  e  "corpo
 recettore" che, per quanto teorizzata in dottrina,  non  trova  nella
 legge  una  sua  specifica  previsione,  quanto  meno  nel  senso  di
 escludere il titolare di "corpo recettore" dalla disciplina  prevista
 per i titolari di scarichi.
    Il  concetto di "corpo recettore", invero, nel sistema della legge
 Merli, e' e rimane  un  semplice  concetto  tecnico,  valido  solo  a
 distinguere gli scarichi a seconda del tipo di "recapito".
    Vero  e'  che  il complesso corpus di norme contenute nella citata
 legge n. 319/1976 attribuisce al comune numerosi compiti di  soggetto
 attivo  nell'attuazione  dei  compiti  di  risanamento ambientale, in
 quanto coinvolto, con le regioni e le province,  nell'attuazione  dei
 fini della legge medesima.
    Cio', tuttavia, non vale ad escludere che il comune medesimo possa
 configurarsi,  come  di  fatto  si configura, insieme soggetto attivo
 nell'attuazione dei programmi  di  risanamento,  e  soggetto  passivo
 degli  obblighi  imposti  dalla  legge  quale  titolare  dei  singoli
 scarichi.
    Peraltro l'effetto  caducante  di  qualsiasi  possibile  moratoria
 all'applicazione   delle   norme   concernenti  le  autorizzazioni  e
 l'applicazione delle sanzioni penali, collegato alla  previsione  del
 termine   decennale   di   cui  all'art.  8  della  legge  Merli  per
 l'attuazione dei piani regionali, vale a rendere comunque attuale  il
 problema  dell'applicabilita'  della  normativa  "a regime" contenuta
 nella legge Merli e nella stessa normativa regionale, che alla  prima
 si adegua.
    Anzi,  semmai,  in materia di disciplina di scarichi esistenti, in
 quanto non risolti  o  trasfusi  nei  programmi  generali  del  piano
 regionale  in  cui  peraltro avrebbero dovuto rientrare, la moratoria
 concessa per la Liguria andava oltre  il  termine  decennale  che  la
 legge  statale  assegnava alle regioni per l'attuazione dei piani ivi
 previsti, in forma della proroga di cui alla citata l.r. n. 30/1986.
    Con la seconda  doglianza,  di  violazione  e  falsa  applicazione
 dell'art.  4  della l.r. Liguria 1› settembre 1982, n. 38, eccesso di
 potere per difetto  nella  valutazione  dei  presupposti,  il  comune
 sostanzialmente  richiama  i  concetti svipuppati nel primo motivo di
 gravame, anche qui  ribadendo  che  in  sede  di  assoggettamento  ad
 autorizzazione  dello  scarico  della pubblica fognatura, la verifica
 dei limiti di accettabilita' non puo' rispondere ai criteri applicati
 alla generalita' dei titolari di  scarichi,  soprattutto  considerato
 che,  in materia di scarichi preesistenti, l'adeguamento non puo' che
 essere graduale sulla base delle priorita' fissate dallo stesso piano
 regionale  ne'  gli  scarichi in questione potrebbero ricondursi alle
 caratteristiche  degli  scarichi  nuovi,  pena  l'illogicita'   della
 valutazione basata su erroneo presupposto.
    Il   comune   denuncia  ancora  violazione  e  falsa  applicazione
 dell'art. 23 della  l.r.  1›  settembre  1982,  n.  38  e  successive
 modifiche in relazione all'art. 14 della legge n. 319/1976.
    Ad  avviso  del  comune,  sembra  doversi ritenere che, per quanto
 riguarda i programmi di adeguamento degli scarichi esistenti,  atteso
 che  l'art.  14  della  legge Merli disciplina l'autorizzabilita' con
 criteri  propri  per  quanto  collegabili  all'attuazione  del  piano
 regionale,  il  termine  fissato  nell'art.  23  della  citata  legge
 regionale non potrebbe  che  avere  contenuto  programmatorio,  cosi'
 sottraendo  questo  tipo di interventi alle conseguenze riconducibili
 alla scadenza del termine ultimo di cui all'art. 8 della stessa legge
 Merli, il cui effetto ulteriore sarebbe di impedire il  proseguimento
 dell'iter procedimentale instaurato per l'adeguamento, appunto, degli
 scarichi esistenti.
    La prospettata interpretazione non risulta peraltro condivisibile,
 se  e'  vero  che  deve ritenersi (anche sulla scorta delle decisioni
 delle ss.uu. della Corte di cassazione nn. 896 e 839  del  1991)  che
 con lo spirare del termine decennale di cui all'art. 8 della legge n.
 319/1976,  qualunque  sia  la  sorte  dei programmi di adeguamento in
 itinere, le procedure autorizzatorie non possono che essere espletate
 sulla base delle prescrizioni operanti "a regime".
    In definitiva, anche le ulteriori censure  di  eccesso  di  potere
 poggiano  sulla  base concettuale sostenuta dal comune secondo cui lo
 stesso ente esponenziale, in virtu' della sua posizione  di  soggetto
 attivo  del  progetto  di risanamento idrico disciplinato dalla legge
 statale,  sarebbe  automaticamente  escluso   dall'operativita'   del
 controllo  "a  regime"  degli scarichi, destinato a rivivere in forza
 della scadenza del termine fissato dall'art. 8  della  legge  statale
 per il completamento dei piani regionali di risanamento.
    Cio'  dicasi,  in  particolare,  per quanto concerne la censura di
 contraddittorieta'  la'  dove  si  lamenta  che  la  stessa   mancata
 approvazione  da  parte  della provincia dei programmi di adeguamento
 degli  scarichi  esistenti  presentati  dal  comune   avrebbe   posto
 quest'ultimo in condizione di trovarsi "scoperto", con la conseguenza
 di vedere decaduti i programmi presentati e di dover subire gli oneri
 del  meccanismo  autorizzatorio  "a  regime" con l'applicazione delle
 relative sanzioni anche sotto il profilo penale, non diversamente  da
 quanto previsto per qualsiasi titolare di scarico.
    Peraltro  il  provvedimento  si sottrae, ad avviso del collegio, a
 siffatte censure e cio' specificamente nella parte in cui obbliga  il
 comune a munirsi delle necessarie autorizzazioni per gli scarichi non
 adeguati e ne inibisce l'uso in difetto di autorizzazione.
    In   questi   limiti   -   che  integrano  il  nucleo  lesivo  del
 provvedimento - l'atto impugnato appare tuttavia non solo  legittimo,
 bensi'  dovuto,  non  potendo  sfuggire  la provincia, nell'esercizio
 delle funzioni spettantile in materia, all'obbligo di dare attuazione
 alla legge regionale azionando nei confronti del comune i sistemi  di
 controllo  e  l'esercizio  del  potere  sanzionatorio  che  la  legge
 regionale medesima mutua dal  meccanismo  e  dalle  previsioni  della
 legge n. 319/1976.
    Quest'ultimo  rilievo  porta  altresi'  ad escludere la fondatezza
 della questione di legittimita' costituzionale sollevata  dal  comune
 ricorrente  nei  confronti dell'art. 23 della l.r. Liguria n. 38/1982
 per violazione dell'art. 117 della Costituzione nella parte  in  cui,
 ignorando l'esigenza di perseguimento graduale dell'adeguamento degli
 scarichi  esistenti,  non  attribuisce al relativo termine una natura
 meramente programmatoria, cosi'  eccedendo  i  limiti  della  propria
 competenza  ed  eludendo  lo stesso sistema dei termini fissato dalla
 legge statale.
    Per quest'ultima, secondo il comune, il termine per  l'adeguamento
 degli  scarichi esistenti sarebbe perentorio per quelli industriali e
 meramente  programmatorio  per  i  secondi,  adeguabili  gradualmente
 nell'ambito  del  termine  fissato  dall'art.  8 della legge Merli in
 dieci anni dalla sua entrata  in  vigore,  dovendosi  questo  termine
 intendere come di natura programmatoria.
    Non   sembra   peraltro   al  collegio  che  la  stessa  norma  in
 riferimento, nella sua letteralita' e considerata nel complesso delle
 norme della legge  stessa,  consenta  una  tale  interpretazione,  in
 quanto: a) la distinzione di fondo assunta dal comune non trova, come
 gia'   detto,  alcun  supporto  normativo;  b)  ben  puo'  il  comune
 configurarsi  come  soggetto  attivo  dei  piani  di  risanamento   e
 contemporaneamente  titolare  di  scarichi  disciplinati  come per la
 generalita' dei cittadini;
   c) per gli stessi scarichi civili in  genere,  scaduto  il  termine
 decennale  per  l'attuazione  dei piani di risanamento regionali, non
 sarebbe pensabile un  ritorno  brutale  alla  loro  liberalizzazione,
 proprio in contrasto con i fini che la legge intende perseguire. Vero
 e',  al  contrario,  che la moratoria non puo' che avere, nel sistema
 normativo e per qualsiasi tipo di  scarico,  che  il  significato  di
 fissare   il   tempo   massimo  per  l'attuazione  dei  programmi  di
 risanamento, stabilendo il  termine  oltre  il  quale  non  puo'  che
 operare il sistema autorizzatorio per singolo scarico e la previsione
 sanzionatoria   per   l'uso   e  la  continuazione  di  scarichi  non
 autorizzati o non autorizzabili.
    Cio' detto, il collegio ritiene peraltro di  sollevare  d'ufficio,
 in  quanto  rilevante e non manifestamente infondata, la questione di
 costituzionalita' dell'art. 1, lett. a), dell'art. 8, secondo  comma,
 e 21, secondo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (legge Merli)
 in  quanto,  in  particolare  l'art.  8,  nello  stabilire un termine
 massimo entro il quale debbano attuarsi i fini dei piani regionali di
 risanamento  delle  acque  previsti  dalla  legge  medesima  -  cosi'
 implicitamente  rendendo  operanti  le  normative  "a regime" per gli
 scarichi esistenti e le relative  disposizioni  sanzionatorie  -,  ha
 omesso  di  considerare - opportunamente differenziando la previsione
 normativa - la specifica posizione dei comuni  i  quali  assumono  la
 doppia  posizione  di titolari degli scarichi e, insieme, di titolari
 di un pubblico servizio che non puo' essere  nemmeno  temporaneamente
 pretermesso.
   Per   quanto  concerne  l'art.  1,  lett.  a),  esso  appare  norma
 definitoria fondamentale,  nell'includere  in  unica  disciplina  gli
 scarichi  privati e pubblici, cosi' delineando la precisa indicazione
 del legislatore estranea  alla  configurabilita'  di  una  disciplina
 distinta degli scarichi in virtu' della loro riferibilita' a soggetti
 pubblici o privati.
    Infine,  l'art.  21,  secondo comma, costituisce il corollario del
 sistema configurato, che comporta l'applicazione  delle  sanzioni  di
 legge  in  misura  non  diversificata  al  soggetto  pubblico come al
 privato.
    Sembra tuttavia rispondere a criteri di logica  e  ragionevolezza,
 oltre  che  di  coerenza sistematica, che una legge di largo respiro,
 quale la legge Merli, che si proponeva,  da  un  lato,  una  compiuta
 disciplina  dell'uso  delle  acque e l'attuazione di complesse misure
 volte al loro risanamento, tenesse conto  di  una  realta'  non  solo
 esistente, ma altresi' incidente sul sistema normativo.
    L'operativita'  della  normativa  in  questione  nei confronti dei
 comuni avrebbe dovuto, in altre parole, tenere conto  della  presenza
 sul territorio di una complessa rete di scarichi costituenti pubblici
 servizi,  nonche'  della  specificita' del soggetto pubblico titolare
 degli scarichi in essa compresi. La distinzione  sistematica  che  il
 ricorrente comune ritiene di individuare nella legge Merli in realta'
 non   e'  in  essa  rinvenibile,  ma  avrebbe  dovuto  ispirarla,  in
 applicazione di un principio di  ragionevolezza  e  di  rispetto  del
 principio costituzionale che vuole ricollegabili discipline diverse a
 diversita' di situazioni.
    Lo  stesso  conseguimento  dei  fini  della  legge  avrebbe potuto
 giovarsene, in presenza di obiettive e complesse  difficolta'  capaci
 di compromettere il fine primario della difesa ambientale.
    D'altra  parte  appare  evidente  che,  in  particolare per quanto
 concerne le grandi citta', l'adeguamento degli scarichi esistenti non
 possa che avvenire nell'ambito del generale programma di  risanamento
 idrico,  in  modo  graduale  e tenendo conto dei limiti e dei vincoli
 derivanti all'azione dei comuni dalle norme che disciplinano la spesa
 pubblica.
    Non puo'  ritenersi,  invero,  ragionevolmente  ipotizzabile  che,
 qualora  effettive  condizioni  legate  ad  esigenze  di  spese  o  a
 complessita' obiettive dei problemi da  risolvere  nell'ambito  delle
 singole  realta' locali rendano impossibile, ancorche' in presenza di
 una tempestiva attivazione degli enti interessati, il raggiungimento,
 nel termine prescritto, dei fini assunti dai piani regionali,  scatti
 automaticamente non soltanto il sistema autorizzatorio a regime (cio'
 che di per se' sarebbe accettabile) ma altresi' il conseguente regime
 sanzionatorio senza che peraltro il sindaco, quale rappresentante del
 comune,  sia  in  grado di sottrarsi ad adempimenti comportanti anche
 conseguenze penali, sospendendo il servizio pubblico le cui strutture
 non sia stato possibile adeguare.
    Ed invero, basti considerare  che,  in  tale  situazione,  l'unica
 soluzione  praticabile  resta per il sindaco l'emissione di ordinanze
 contingibili ed urgenti che consentano la prosecuzione del  servizio,
 costringendo  tuttavia  l'organo  pubblico  all'uso  ambiguo  di  uno
 strumento di  esercizio  di  un  potere  che  dovrebbe  attivarsi  in
 presenza di piu' idonei presupposti.
    L'avere   omesso   una   disciplina   differenziata  per  siffatte
 situazioni  integra,  ad  avviso  del  collegio,   una   scelta   del
 legislatore    manifestamente    irragionevole    ed    illogica    e
 presumibilmente violatoria dell'art. 3  della  Costituzione  per  non
 avere  disciplinato  in  modo differenziato situazioni nettamente di-
 verse quali sono quelle che  fanno  capo,  da  un  lato,  ai  privati
 titolari  di  scarichi  e, dall'altro lato, ai comuni che assumono la
 titolarita' di scarichi (quali le  pubbliche  fognature)  costituenti
 esse   stesse   un   servizio   pubblico   e  per  le  quali  l'onere
 dell'adeguamento ai limiti di legge eccede spesso  le  disponibilita'
 del  comune  non  soltanto  in  senso materiale, bensi' in virtu' dei
 precisi vincoli che prescindono all'assunzione della spesa pubblica.
    Per vero, non e' in discussione l'auspicabilita' di una deroga che
 esenti i comuni dall'applicabilita' di una legge che  si  pone  quale
 fine  primario il conseguimento del risanamento ambientale in tema di
 inquinamento delle acque, ovvio  essendo  che,  avendo  i  comuni  la
 titolarita'   delle   fognature  che  costituiscono  il  fondamentale
 strumento di raccolta degli scarichi inquinanti  e  si  pongono  esse
 stesse  come  scarichi  recapitanti  in  altri corpi ricettivi a loro
 volta da risanare quali i mari, laghi e bacini idrici  in  genere,  i
 comuni  debbono  configurarsi  tra  i  soggetti chiamati in proprio a
 rispondere ai fini normativi non solo  quali  deputati  al  controllo
 degli scarichi privati ma quali titolari essi stessi degli scarichi.
    La  chiave di volta dell'adeguamento al precetto costituzionale di
 ragionevolezza e a quello di omogeneita'  di  trattamento  scaturente
 dall'art.  3  della  Costituzione,  avrebbe piuttosto reso necessaria
 l'armonizzazione delle previsioni della legge Merli, al momento della
 fissazione di un  termine  massimo  per  l'attuazione  dei  piani  di
 risanamento  regionali  -  nel  cui  ambito  debbono  necessariamente
 incanalarsi le opere di adeguamento degli scarichi comunali esistenti
 - con la normativa propria che disciplina l'attivita'  dei  comuni  e
 con una conseguente graduazione delle responsabilita' derivanti dagli
 effettivi  comportamenti  posti in essere in rapporto alle situazioni
 obiettive, nonche' all'esigenza di  non  contravvenire  al  parallelo
 obbligo di non interrompere un pubblico servizio.
    La  scelta  legislativa  operata,  al  contrario, appare per certi
 aspetti illogica e irragionevole oltre che  violativa  del  principio
 sancito  dell'art. 3 della Costituzione, nonche' dello stesso art. 79
 della   Costituzione   nei   riflessi   dell'adeguatezza    normativa
 all'ordinato  esplicarsi dell'operato della pubblica amministrazione,
 in un contesto che renda piu' agevole  lo  stesso  conseguimento  dei
 fini propri della legge.
    Nei  descritti  termini  ritenendo quindi il tribunale rilevante e
 non manifestamente infondata la questione sollevata, deve disporsi la
 sospensione del giudizio e la  rimessione  della  questione  medesima
 all'esame  della  Corte  costituzionale  ai sensi dell'art. 134 della
 Costituzione, dell'art. 1 della  legge  costituzionale  n.  1/1948  e
 dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.