IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 189/90 r.g.r. proposto dal comune di Genova, in persona del sindaco in carica, elettivamente domiciliato in Genova, via Garibaldi, 9, presso l'avv. Graziella De Nitto che lo rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso, ricorrente, contro la provincia di Genova, in persona del presidente della giunta provinciale in carica, elettivamente domiciliata in Genova, piazza Corvetto, 2/8, presso l'avvocato Corrado Mauceri che la rappresenta e difende per mandato in calce a copia notificata del ricorso, resistente, e nei confronti della regione Liguria, in persona del presidente in carica della giunta regionale, elettivamente domiciliata in Genova, via Fieschi, 15, presso l'avv. Gigliola Benghi che la rappresenta e difende per mandato in atti, controinteressata, per l'annullamento della deliberazione n. 3900 della giunta provinciale in data 29 novembre 1989 con cui l'amministrazione provinciale, ritenuta l'abusivita' degli scarichi delle pubbliche fognature in atto, diffida il comune di Genova a proporre istanza di autorizzazione per i singoli scarichi, fermo restando medio tempore l'obbligo di astenersi dall'effettuare scarichi non autorizzati; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della provincia di Genova e della regione Liguria; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 16 aprile 1992 la relazione del consigliere M. Franco e uditi, altresi' l'avv. G. De Nitto per il ricorrente e l'avv. C. Mauceri per l'amministrazione provinciale nonche' l'avvocato G. Benghi per la regione Liguria; Ritenuto e considerato quanto segue; ESPOSIZIONE DEL FATTO Con ricorso notificato il 31 gennaio 1990, il comune di Genova impugnava, chiedendone l'annullamento, la deliberazione n. 3900 assunta dalla giunta provinciale di Genova in data 29 novembre 1989 e comunicata il 15 dicembre 1989 con cui la medesima amministrazione provinciale, ritenuta l'abusivita' degli scarichi delle pubbliche fognature in atto, diffidava il comune a proporre istanza di autorizzazione per i singoli scarichi, fermo restando medio tempore l'obbligo di astenersi dall'effettuare scarichi non autorizzati. Il ricorrente comune premetteva: a) che da molto tempo ed ancor prima dell'entrata in vigore della legge 10 maggio 1976, n. 319, erano state avviate iniziative per il risanamento delle acque e che, in particolare, con deliberazione del consiglio comunale n. 1237 del 1 luglio 1980, era stato predisposto il programma di adeguamento della rete fognaria in ottemperanza al disposto di cui all'art. 14 della legge 10 maggio 1976, n. 319, programma attuato per circa due terzi della rete fognaria prevista nonche' mediante la realizzazione di due dei quattro depuratori previsti, oltre al raddoppio del depuratore della Valpolcevera, con un impegno finanziario annuale compreso fra gli 11 e i 40 miliardi; b) che la regione Liguria aveva emanato la legge 1 settembre 1982, n. 38, formulante la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature, nell'esercizio delle proprie competenze secondo l'assetto previsto dall'art. 101 del d.P.R. n. 616/1977, prevedendo all'art. 23 l'adeguamento alle disposizioni di legge sulla base di appositi programmi da attuarsi previa autorizzazione dell'autorita' competente al controllo individuata, ai sensi dell'art. 6 della legge regionale, nell'amministrazione provinciale per gli scarichi delle pubbliche fognature con recapito in corsi d'acqua superficiali, nell'acqua di transizione e nel mare territoriale. In ottemperanza alla predetta disposizione, il comune trasmetteva alla provincia nel marzo 1983 un programmma di massima di adeguamento degli scarichi fognari seguito, nell'aprile 1987, da un programma dettagliato completo di tutti gli elementi ritenuti utili dalla provincia. In pendenza dell'iter procedimentale del programma di cui sopra, la provincia assumeva l'impugnata deliberazione con cui, ritenuta l'abusivita' degli scarichi preesistenti delle pubbliche fognature, diffidava, come si e' detto, il comune a proporre istanza di autorizzazione per i singoli scarichi ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 38/1982 nonche' ad astenersi medio tempore dal mantenere gli stessi in esercizio. Tanto premesso il comune denunciava: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 8 e 14 della legge n. 319/1976, nonche' dei principi generali in materia di tutela delle acque dall'inquinamento. Il sistema delineato dalla legge Merli, che annovera i comuni, e i loro consorzi, tra i soggetti pubblici coinvolti nel recupero della situazione ambientale oltre che nella verifica delle condizioni di ammissibilita' degli scarichi, imporrebbe ex se una distinzione tra gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi e quelli di tipo civile (o assimilati), per questi ultimi dovendosi affrontare i problemi attinenti all'organizzazione di pubblici servizi di acquedotto, fognature e depurazione. Ne conseguirebbe che il comune non potrebbe configurarsi come produttore di uno scarico, bensi' titolare di un pubblico servizio, con cio' dovendosi ritenere la sua posizione diversificata rispetto a quella di qualsiasi soggetto che immette nell'ambiente uno scarico idrico, considerando altresi' che la pubblica fognatura non sarebbe definita dall'art. 1 della legge Merli quale "scarico", ma semmai quale "corpo ricettore". Tutti il sistema della legge Merli concorrerebbe a siffatta impostazione che esimerebbe il comune, quale soggetto esso stesso deputato alla predisposizione delle strutture previste dalla legge, dal rendersi destinatario di diffide del tipo di quella impugnata che, in realta', assimilando allo scarico l'esercizio della pubblica fognatura quale pubblico servizio, comporterebbe la diffida al comune di proseguire nell'esercizio, appunto, di un servizio imprescindibile per il comune medesimo; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge regione Liguria 1 settembre 1982, n. 38. Eccesso di potere per difetto nella valutazione dei presupposti. La norma in riferimento, nel prevedere l'apposita autorizzazione tanto per gli scarichi delle pubbliche fognature quanto per quelli provenienti da insediamenti civili non aventi recapito nella pubblica fognatura, non puo', per i principi generali richiamati, riferirsi anche alle fognature preesistenti il cui allineamento ai limiti di accettabilita' puo' solo costituire il risultato di progressivi interventi, graduati sulla base delle priorita' fissate nel programma regionale di risanamento delle acque; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 23 della legge regionale Liguria 1 settembre 1982, n. 38 e successive modifiche, in relazione all'art. 14 della legge n. 319/1976. Giusta la previsione dell'art. 14 della legge n. 319/1976, l'art. 23 della legge regionale n. 38/1982, contempla la predisposizione di programmi per l'adeguamento degli scarichi esistenti la cui attuazione subordina al preventivo accertamento di conformita' alle previsioni dello stesso piano regionale mediante il rilascio di apposita autorizzazione da parte dell'Ente competente al controllo o di imposizione delle prescrizioni di cui alla norma medesima. In tale contesto la previsione di un termine per la realizzazione delle opere di competenza comunale non potrebbe che assumere natura programmatoria, in pendenza del relativo procedimento amministrativo il cui perfezionamento sarebbe diversamente impedito - secondo l'interpretazione desumibile dal testo del provvedimento - dal decorso del termine di cui all'art. 8 della legge Merli; 4) eccesso di potere per erronea valutazione del presupposti. Manifesta illogicita' dell'atto. Cio' in quanto l'applicabilita', anche agli scarichi preesistenti, del regime previsto dall'art. 4 della legge regionale n. 38/1982 in forza dello spirare del termine prefissato per il raggiungimento degli obiettivi del piano regionale, frusterebbe gli stessi scopi del programma presentato impedendo la conclusione dell'iter procedimentale; 5) eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti. Illogicita' e contraddittorieta' sotto diverso profilo. Eccesso di potere per sviamento. Ingiustizia grave e manifesta. Il provvedimento non tiene in alcuna considerazione l'obiettiva diversita' tra lo scarico della pubblica fognatura - costituente servizio pubblico - e lo scarico derivante da un insediamento produttore della fonte inquinante: il che si rivelerebbe illogico e illegittimo; 6) illegittimita' derivata per violazione e falsa applicazione dell'art. 117 della Costituzione. Illegittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge regionale Liguria n. 38/1982. Qualora non dovesse condividersi la tesi interpretativa sostenuta nel ricorso secondo cui l'art. 23 della legge regionale Liguria n. 38/1982, disciplinando l'iter procedimentale funzionalmente collegato al perseguimento graduale degli obiettivi di risanamento delle acque individuati nel piano regionale, configurerebbe un termine di natura meramente programmatoria, la norma non si sottrarrebbe alla censura di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione in quanto verrebbero cosi' disattese le competenze statuali fatte salve dall'art. 102 del d.P.R. n. 616/1977, nella spe- cie individuabili nei criteri dettati dalla legge Merli prefigurante soluzioni diverse per gli scarichi di tipo industriale e quelli di tipo civile, individuando per i primi un termine perentorio per l'adeguamento e per i secondi un allineamento graduale ai limiti di legge nei confronti del quale non puo' che ipotizzarsi un termine programmatorio. La provincia di Genova, costituitasi in giudizio, eccepiva preliminarmente l'irricevibilita' del ricorso per decadenza in quanto il provvedimento impugnato si limiterebbe a trarre il semplice corollario del contenuto di precedente nota 22 marzo 1989. Nel merito, la difesa della provincia sosteneva l'infondatezza del gravame, rilevando in particolare che l'apposizione del termine decennale per il conseguimento degli obiettivi del P.R.R.A. e' stato fissato proprio dal legislatore statale (art. 8, ultimo comma, della legge n. 319/1976) mentre il legislatore regionale avrebbe semmai errato nel prorogare di un anno detto termine. In ogni caso la situazione di abusivismo degli scarichi comunali non sarebbe che una mera conseguenza dello spirare dei termini legislativamente previsti, senza nessuna influenza, sul punto, del provvedimento impugnato. Si costituiva altresi' la regione Liguria contestando la fondatezza delle doglianze proposte anche per quanto concerne il dedotto profilo di illegittimita' costituzionale. All'udienza di discussione le parti insistevano come in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, deve respingersi l'eccezione di irricevibilita' del gravame per intervenuta decadenza, fondata sul rilievo che l'impugnato provvedimento avrebbe contenuto sostanzialmente identico a quello della nota assessorile 22 marzo 1989 non impugnata dal comune. Ed invero la nota in questione era priva di contenuto provvedimentale in quanto: a) si limitava ad annunciare che da parte della provincia era stata intrapresa una attivita' diretta al controllo degli scarichi in esito alla quale sarebbero stati adottati i provvedimenti di competenza; b) nessuna verifica era stata compiuta all'epoca, da cui potesse scaturire un provvedimento repressivo. Non era pertanto configurabile alcun interesse concreto ed attuale all'impugnativa, da parte del comune, della nota indicata che deve ritenersi meramente prodromica all'emmissione del provvedimento ora impugnato. Nel merito, va innanzi tutto rilevato che il provvedimento in questione presenta un contenuto plurimo, in quanto contiene: 1) la presa d'atto che il programma di adeguamento degli scarichi delle pubbliche fognature esistenti nel comune di Genova non e' stato autorizzato prima della scadenza del regime transitorio stabilito dall'art. 23 della legge regionale n. 38/1992 e successive modificazioni; 2) diffida al comune a presentare istanza di autorizzazione per i singoli scarichi ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 38/1982; 3) l'affermazione dell'obbligo del comune di astenersi medio tempore dall'effettuare scarichi non autorizzati e di adottare, comunque, ogni misura necessaria al contenimento dell'inquinamento. Da ultimo il provvedimento "raccomanda" al sindaco di adottare, nell'ambito della propria competenza specifica, tutti i provvedimenti e le misure necessari ed opportuni alla tutela della salute pubblica, in relazione all'evolversi della situazione degli scarichi in questione. Sostanzialmente il comune si duole della lesivita' della diffida formulata dalla provincia, ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 38/1982, a presentare istanza di autorizzazione per i singoli scarichi, fermo restando medio tempore l'obbligo di astenersi dall'effettuare scarichi non autorizzati. Ne conseguirebbe, in caso di inosservanza del predetto obbligo, l'applicazione delle sanzioni previste dalla medesima legge regionale nonche' dalla legge n. 319/1976. La legge regionale della cui applicazione si tratta costituisce attuazione della citata legge n. 319/1976 il cui art. 4 attribuisce alle regioni la competenza in ordine alla redazione dei piani regionali di risanamento delle acque definendone all'art. 8, l'articolazione nelle sue linee essenziali. Lo stesso art. 8 della legge n. 319/1986 fissa in dieci anni il termine ultimo per il conseguimento degli obiettivi del piano. Nel caso specifico della regione Liguria gli obiettivi in questione non risultano pienamente attuati e, come e' pacifico fra le parti, gli stessi programmi di adeguamento degli scarichi fognari presentati dal comune di trovavano, alla scadenza del cennato termine, in pendenza dell'iter procedimentale previsto dalla legge. Trova dunque applicazione nel caso di specie, la disciplina transitoria concernente gli scarichi preesistenti, dettata dall'art. 23 della legge regionale piu' volte richiamata, norma su cui si appuntano le censure del ricorrente comune, sia nel senso di denunciarne la violazione, da parte dell'ente intimato, cui compete la vigilanza sull'applicazione della normativa in parola, sia, alternativamente, nel prospettarne il contrasto con la normativa statale di cui alla richiamata legge n. 319/1976. Per gli insediamenti esistenti, dunque, per quanto nell'ambito - ma non necessariamente in totale coincidenza - con il piano generale regionale previsto dalla normativa statale, l'art. 23 della legge regionale imponeva la presentazione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge medesima, l'obbligo di presentazione di un programma dettagliato con l'indicazione della data di inizio e dei tempi di attuazione per l'adeguamento dei propri scarichi alla disciplina di legge, stabilendo per l'attuazione dei programmi medesimi il termine del 31 maggio 1986, successivamente prorogato dalla l.r. n. 30/1986 al 31 maggio 1987. Il mancato adeguamento nei detti termini farebbe dunque scattare l'obbligo di munirsi di nuova autorizzazione ai sensi dell'art. 4 della stessa l.r. nonche' di astenersi dall'uso di scarichi non autorizzati. Con il primo motivo di gravame il comune di Genova denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 8 e 14 della legge n. 319/1976 la cui previsione configurerebbe un regime per cosi' dire differenziato, collocando il comune, anche in forza dei principi generali in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, tra i soggetti attivi della lotta all'inquinamento idrico, quale titolare di un pubblico servizio, eppertanto non destinatario degli obblighi posti a carico dei titolari di scarichi, dovendo la pubblica fognatura definirsi non "scarico" ma semmai "corpo ricettore". Del resto, l'automatismo sanzionatorio conseguente all'inosservanza di determinati obblighi posti a carico dei titolari di scarichi non troverebbe ne' locica ne' conseguente rispondenza con il complesso di competenze assegnate ai comuni quali soggetti pubblici cui la legge demanda rilevanti funzioni nell'attuazione degli interventi di risanamento e la cui attivita' e' peraltro condizionata da vincoli di disponibilita' in ordine alla spesa pubblica connessa ai programmi di risanamento ambientale in generale e, in particolare, ai programmi di adeguamento dei presidi esistenti. La censura non puo', peraltro, essere condivisa in quanto nessuna disposizione della legge n. 319/1976 (legge Merli) consente di fornire supporto normativo alla tesi del comune. Al contrario, l'art. 1 della legge in discorso appare chiaro nell'indicare che la disciplina in essa contenuta riguarda "gli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine sia pubbliche che private, nonche' in fognature sul suolo e nel sottosuolo" (art. 1, lett. a)). Ne' altre specifiche norme della legge in riferimento consentono di configurare un doppio regime che veda il comune quale titolare di "scarico" esentato dagli obblighi posti a carico di qualsiasi altro soggetto ugualmente titolare di scarico. Ne' all'uopo soccorre la distinzione tra scarico e "corpo recettore" che, per quanto teorizzata in dottrina, non trova nella legge una sua specifica previsione, quanto meno nel senso di escludere il titolare di "corpo recettore" dalla disciplina prevista per i titolari di scarichi. Il concetto di "corpo recettore", invero, nel sistema della legge Merli, e' e rimane un semplice concetto tecnico, valido solo a distinguere gli scarichi a seconda del tipo di "recapito". Vero e' che il complesso corpus di norme contenute nella citata legge n. 319/1976 attribuisce al comune numerosi compiti di soggetto attivo nell'attuazione dei compiti di risanamento ambientale, in quanto coinvolto, con le regioni e le province, nell'attuazione dei fini della legge medesima. Cio', tuttavia, non vale ad escludere che il comune medesimo possa configurarsi, come di fatto si configura, insieme soggetto attivo nell'attuazione dei programmi di risanamento, e soggetto passivo degli obblighi imposti dalla legge quale titolare dei singoli scarichi. Peraltro l'effetto caducante di qualsiasi possibile moratoria all'applicazione delle norme concernenti le autorizzazioni e l'applicazione delle sanzioni penali, collegato alla previsione del termine decennale di cui all'art. 8 della legge Merli per l'attuazione dei piani regionali, vale a rendere comunque attuale il problema dell'applicabilita' della normativa "a regime" contenuta nella legge Merli e nella stessa normativa regionale, che alla prima si adegua. Anzi, semmai, in materia di disciplina di scarichi esistenti, in quanto non risolti o trasfusi nei programmi generali del piano regionale in cui peraltro avrebbero dovuto rientrare, la moratoria concessa per la Liguria andava oltre il termine decennale che la legge statale assegnava alle regioni per l'attuazione dei piani ivi previsti, in forma della proroga di cui alla citata l.r. n. 30/1986. Con la seconda doglianza, di violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della l.r. Liguria 1 settembre 1982, n. 38, eccesso di potere per difetto nella valutazione dei presupposti, il comune sostanzialmente richiama i concetti svipuppati nel primo motivo di gravame, anche qui ribadendo che in sede di assoggettamento ad autorizzazione dello scarico della pubblica fognatura, la verifica dei limiti di accettabilita' non puo' rispondere ai criteri applicati alla generalita' dei titolari di scarichi, soprattutto considerato che, in materia di scarichi preesistenti, l'adeguamento non puo' che essere graduale sulla base delle priorita' fissate dallo stesso piano regionale ne' gli scarichi in questione potrebbero ricondursi alle caratteristiche degli scarichi nuovi, pena l'illogicita' della valutazione basata su erroneo presupposto. Il comune denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 23 della l.r. 1 settembre 1982, n. 38 e successive modifiche in relazione all'art. 14 della legge n. 319/1976. Ad avviso del comune, sembra doversi ritenere che, per quanto riguarda i programmi di adeguamento degli scarichi esistenti, atteso che l'art. 14 della legge Merli disciplina l'autorizzabilita' con criteri propri per quanto collegabili all'attuazione del piano regionale, il termine fissato nell'art. 23 della citata legge regionale non potrebbe che avere contenuto programmatorio, cosi' sottraendo questo tipo di interventi alle conseguenze riconducibili alla scadenza del termine ultimo di cui all'art. 8 della stessa legge Merli, il cui effetto ulteriore sarebbe di impedire il proseguimento dell'iter procedimentale instaurato per l'adeguamento, appunto, degli scarichi esistenti. La prospettata interpretazione non risulta peraltro condivisibile, se e' vero che deve ritenersi (anche sulla scorta delle decisioni delle ss.uu. della Corte di cassazione nn. 896 e 839 del 1991) che con lo spirare del termine decennale di cui all'art. 8 della legge n. 319/1976, qualunque sia la sorte dei programmi di adeguamento in itinere, le procedure autorizzatorie non possono che essere espletate sulla base delle prescrizioni operanti "a regime". In definitiva, anche le ulteriori censure di eccesso di potere poggiano sulla base concettuale sostenuta dal comune secondo cui lo stesso ente esponenziale, in virtu' della sua posizione di soggetto attivo del progetto di risanamento idrico disciplinato dalla legge statale, sarebbe automaticamente escluso dall'operativita' del controllo "a regime" degli scarichi, destinato a rivivere in forza della scadenza del termine fissato dall'art. 8 della legge statale per il completamento dei piani regionali di risanamento. Cio' dicasi, in particolare, per quanto concerne la censura di contraddittorieta' la' dove si lamenta che la stessa mancata approvazione da parte della provincia dei programmi di adeguamento degli scarichi esistenti presentati dal comune avrebbe posto quest'ultimo in condizione di trovarsi "scoperto", con la conseguenza di vedere decaduti i programmi presentati e di dover subire gli oneri del meccanismo autorizzatorio "a regime" con l'applicazione delle relative sanzioni anche sotto il profilo penale, non diversamente da quanto previsto per qualsiasi titolare di scarico. Peraltro il provvedimento si sottrae, ad avviso del collegio, a siffatte censure e cio' specificamente nella parte in cui obbliga il comune a munirsi delle necessarie autorizzazioni per gli scarichi non adeguati e ne inibisce l'uso in difetto di autorizzazione. In questi limiti - che integrano il nucleo lesivo del provvedimento - l'atto impugnato appare tuttavia non solo legittimo, bensi' dovuto, non potendo sfuggire la provincia, nell'esercizio delle funzioni spettantile in materia, all'obbligo di dare attuazione alla legge regionale azionando nei confronti del comune i sistemi di controllo e l'esercizio del potere sanzionatorio che la legge regionale medesima mutua dal meccanismo e dalle previsioni della legge n. 319/1976. Quest'ultimo rilievo porta altresi' ad escludere la fondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal comune ricorrente nei confronti dell'art. 23 della l.r. Liguria n. 38/1982 per violazione dell'art. 117 della Costituzione nella parte in cui, ignorando l'esigenza di perseguimento graduale dell'adeguamento degli scarichi esistenti, non attribuisce al relativo termine una natura meramente programmatoria, cosi' eccedendo i limiti della propria competenza ed eludendo lo stesso sistema dei termini fissato dalla legge statale. Per quest'ultima, secondo il comune, il termine per l'adeguamento degli scarichi esistenti sarebbe perentorio per quelli industriali e meramente programmatorio per i secondi, adeguabili gradualmente nell'ambito del termine fissato dall'art. 8 della legge Merli in dieci anni dalla sua entrata in vigore, dovendosi questo termine intendere come di natura programmatoria. Non sembra peraltro al collegio che la stessa norma in riferimento, nella sua letteralita' e considerata nel complesso delle norme della legge stessa, consenta una tale interpretazione, in quanto: a) la distinzione di fondo assunta dal comune non trova, come gia' detto, alcun supporto normativo; b) ben puo' il comune configurarsi come soggetto attivo dei piani di risanamento e contemporaneamente titolare di scarichi disciplinati come per la generalita' dei cittadini; c) per gli stessi scarichi civili in genere, scaduto il termine decennale per l'attuazione dei piani di risanamento regionali, non sarebbe pensabile un ritorno brutale alla loro liberalizzazione, proprio in contrasto con i fini che la legge intende perseguire. Vero e', al contrario, che la moratoria non puo' che avere, nel sistema normativo e per qualsiasi tipo di scarico, che il significato di fissare il tempo massimo per l'attuazione dei programmi di risanamento, stabilendo il termine oltre il quale non puo' che operare il sistema autorizzatorio per singolo scarico e la previsione sanzionatoria per l'uso e la continuazione di scarichi non autorizzati o non autorizzabili. Cio' detto, il collegio ritiene peraltro di sollevare d'ufficio, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' dell'art. 1, lett. a), dell'art. 8, secondo comma, e 21, secondo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (legge Merli) in quanto, in particolare l'art. 8, nello stabilire un termine massimo entro il quale debbano attuarsi i fini dei piani regionali di risanamento delle acque previsti dalla legge medesima - cosi' implicitamente rendendo operanti le normative "a regime" per gli scarichi esistenti e le relative disposizioni sanzionatorie -, ha omesso di considerare - opportunamente differenziando la previsione normativa - la specifica posizione dei comuni i quali assumono la doppia posizione di titolari degli scarichi e, insieme, di titolari di un pubblico servizio che non puo' essere nemmeno temporaneamente pretermesso. Per quanto concerne l'art. 1, lett. a), esso appare norma definitoria fondamentale, nell'includere in unica disciplina gli scarichi privati e pubblici, cosi' delineando la precisa indicazione del legislatore estranea alla configurabilita' di una disciplina distinta degli scarichi in virtu' della loro riferibilita' a soggetti pubblici o privati. Infine, l'art. 21, secondo comma, costituisce il corollario del sistema configurato, che comporta l'applicazione delle sanzioni di legge in misura non diversificata al soggetto pubblico come al privato. Sembra tuttavia rispondere a criteri di logica e ragionevolezza, oltre che di coerenza sistematica, che una legge di largo respiro, quale la legge Merli, che si proponeva, da un lato, una compiuta disciplina dell'uso delle acque e l'attuazione di complesse misure volte al loro risanamento, tenesse conto di una realta' non solo esistente, ma altresi' incidente sul sistema normativo. L'operativita' della normativa in questione nei confronti dei comuni avrebbe dovuto, in altre parole, tenere conto della presenza sul territorio di una complessa rete di scarichi costituenti pubblici servizi, nonche' della specificita' del soggetto pubblico titolare degli scarichi in essa compresi. La distinzione sistematica che il ricorrente comune ritiene di individuare nella legge Merli in realta' non e' in essa rinvenibile, ma avrebbe dovuto ispirarla, in applicazione di un principio di ragionevolezza e di rispetto del principio costituzionale che vuole ricollegabili discipline diverse a diversita' di situazioni. Lo stesso conseguimento dei fini della legge avrebbe potuto giovarsene, in presenza di obiettive e complesse difficolta' capaci di compromettere il fine primario della difesa ambientale. D'altra parte appare evidente che, in particolare per quanto concerne le grandi citta', l'adeguamento degli scarichi esistenti non possa che avvenire nell'ambito del generale programma di risanamento idrico, in modo graduale e tenendo conto dei limiti e dei vincoli derivanti all'azione dei comuni dalle norme che disciplinano la spesa pubblica. Non puo' ritenersi, invero, ragionevolmente ipotizzabile che, qualora effettive condizioni legate ad esigenze di spese o a complessita' obiettive dei problemi da risolvere nell'ambito delle singole realta' locali rendano impossibile, ancorche' in presenza di una tempestiva attivazione degli enti interessati, il raggiungimento, nel termine prescritto, dei fini assunti dai piani regionali, scatti automaticamente non soltanto il sistema autorizzatorio a regime (cio' che di per se' sarebbe accettabile) ma altresi' il conseguente regime sanzionatorio senza che peraltro il sindaco, quale rappresentante del comune, sia in grado di sottrarsi ad adempimenti comportanti anche conseguenze penali, sospendendo il servizio pubblico le cui strutture non sia stato possibile adeguare. Ed invero, basti considerare che, in tale situazione, l'unica soluzione praticabile resta per il sindaco l'emissione di ordinanze contingibili ed urgenti che consentano la prosecuzione del servizio, costringendo tuttavia l'organo pubblico all'uso ambiguo di uno strumento di esercizio di un potere che dovrebbe attivarsi in presenza di piu' idonei presupposti. L'avere omesso una disciplina differenziata per siffatte situazioni integra, ad avviso del collegio, una scelta del legislatore manifestamente irragionevole ed illogica e presumibilmente violatoria dell'art. 3 della Costituzione per non avere disciplinato in modo differenziato situazioni nettamente di- verse quali sono quelle che fanno capo, da un lato, ai privati titolari di scarichi e, dall'altro lato, ai comuni che assumono la titolarita' di scarichi (quali le pubbliche fognature) costituenti esse stesse un servizio pubblico e per le quali l'onere dell'adeguamento ai limiti di legge eccede spesso le disponibilita' del comune non soltanto in senso materiale, bensi' in virtu' dei precisi vincoli che prescindono all'assunzione della spesa pubblica. Per vero, non e' in discussione l'auspicabilita' di una deroga che esenti i comuni dall'applicabilita' di una legge che si pone quale fine primario il conseguimento del risanamento ambientale in tema di inquinamento delle acque, ovvio essendo che, avendo i comuni la titolarita' delle fognature che costituiscono il fondamentale strumento di raccolta degli scarichi inquinanti e si pongono esse stesse come scarichi recapitanti in altri corpi ricettivi a loro volta da risanare quali i mari, laghi e bacini idrici in genere, i comuni debbono configurarsi tra i soggetti chiamati in proprio a rispondere ai fini normativi non solo quali deputati al controllo degli scarichi privati ma quali titolari essi stessi degli scarichi. La chiave di volta dell'adeguamento al precetto costituzionale di ragionevolezza e a quello di omogeneita' di trattamento scaturente dall'art. 3 della Costituzione, avrebbe piuttosto reso necessaria l'armonizzazione delle previsioni della legge Merli, al momento della fissazione di un termine massimo per l'attuazione dei piani di risanamento regionali - nel cui ambito debbono necessariamente incanalarsi le opere di adeguamento degli scarichi comunali esistenti - con la normativa propria che disciplina l'attivita' dei comuni e con una conseguente graduazione delle responsabilita' derivanti dagli effettivi comportamenti posti in essere in rapporto alle situazioni obiettive, nonche' all'esigenza di non contravvenire al parallelo obbligo di non interrompere un pubblico servizio. La scelta legislativa operata, al contrario, appare per certi aspetti illogica e irragionevole oltre che violativa del principio sancito dell'art. 3 della Costituzione, nonche' dello stesso art. 79 della Costituzione nei riflessi dell'adeguatezza normativa all'ordinato esplicarsi dell'operato della pubblica amministrazione, in un contesto che renda piu' agevole lo stesso conseguimento dei fini propri della legge. Nei descritti termini ritenendo quindi il tribunale rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata, deve disporsi la sospensione del giudizio e la rimessione della questione medesima all'esame della Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.